martedì 28 ottobre 2008

Massima del sempreverde Guido Ceronetti

Alberi
Non sospettava,Anton Checov,la futura pregnanza simbolica del suo giardino dei ciliegi: cento anni dopo,in uno strazio indicibile di ogni realtà vivente,nell’inferno di tutte le infelicità possibili,quegli alberi abbattuti di finzione drammatica,alberi armati,i ciliegi di Ljubov,ci ricordano (devono ricordarci) le foreste abbattute,i piccoli frutteti dietro il muro accerchiati,l’allargamento del deserto. Muore la foresta amazzonica, il bosco germanico,la chioma boema,gli incendi divorano tranquillamente i boschi mediterranei superstiti,chi ha un giardino lo vende per intascare i soldi di Lopachin,che chiamerà subito le ruspe. I tonfi nella casa della Ranevskaja risuonano in tutte: gli alberi se ne vanno, gli alberi ci lasciano perché non abbiamo saputo tenerceli insieme ai loro abitatori visibili e invisibili. Tragici e profeti non immaginavano quanto tragico umano e cosmico avrebbe potuto un giorno essere significato da qualche tronco d’albero abbattuto elettricamente per ordine di un assessore comunale, per far posto a delle automobili.

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